2 anni in strada dopo la perdita degli affetti più cari. La storia di Ettore

"Lavorare mi ha salvato tante volte dalla disperazione perché quando lavoravo, potevo prendere una pausa dal dolore".

Capelli bianchi, niente denti e occhi azzurrissimi. Ettore per 40 anni ha fatto con soddisfazione il carpentiere, poi un giorno, mentre andava a lavoro, un ictus gli paralizza la parte destra del corpo, costringendolo per mesi in un letto d’ospedale.

Alle dimissioni non ha una casa dove andare e nessun parente che possa prendersi cura di lui, così entra in dormitorio e poco dopo viene accolto in uno degli appartamenti di Progetto Arca del programma Housing First.

"Riavere una casa è riconquistare la libertà delle piccole cose" dice con un sorriso che gli riempie gli occhi, ed è una frase in cui c’è tutto. Ci sono i due anni in cui ha dormito, estate e inverno, su una panchina in piazza del Tricolore a Milano, ci sono il freddo e la solitudine, le code quotidiane davanti alle docce pubbliche e alle mense per i poveri per lavarsi e mangiare. "Però non ho chiesto un solo giorno l’elemosina", precisa con infinita dignità.

Come è potuto finire in strada un uomo come lui a cui il lavoro non è mai mancato, Ettore non lo racconta, ma è chiaro che una parte importante l’ha avuta la perdita dei suoi affetti più cari.

Prima la madre in un incidente stradale, poi il padre cui è legatissimo e che nomina di continuo, infine tre anni fa la sorella, il suo pilastro, l’angelo custode che sempre l’ha aiutato a non lasciarsi andare. Persi loro, perso tutto. Restava il lavoro come unica fuga dal dolore, "ma dopo la malattia mi sono dovuto rassegnare".

Oggi Ettore non è ancora nelle condizioni di poter uscire di casa da solo. Fortunatamente, insieme a noi, la rete dei servizi sociali si è subito attivata nel dargli un supporto per la spesa, le terapie riabilitative, i documenti per ottenere l’invalidità e la pensione. Intanto, una nuova famiglia, una famiglia acquisita e che gli vuole bene, è entrata nella sua vita. Si sono conosciuti mentre Ettore era ricoverato in ospedale e col tempo il loro legame è diventato sempre più forte. "Ci sentiamo tutti i giorni e il sabato mi vengono a prendere per portarmi a pranzo da loro. Il piccolo mi considera come un nonno. Se posso esprimere un desiderio, è di potermi un giorno avvicinare a casa loro. Non voglio disturbare, solo vederli un po’ più spesso".

Casa non è mai solo un tetto, è il luogo dell’intimità e della protezione, è lo spazio degli affetti, e quando questi vengono meno, può capitare anche di perdersi.

In fondo quello che Ettore chiede è ciò di cui tutti abbiamo bisogno: amare, sentirci amati.

 

 

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