Ho dormito su questa panchina per sette mesi. Quella è la fontanella dove mi lavavo a pezzi, anche con due gradi sotto zero, e dietro quei cespugli laggiù nascondevo i vestiti per tenerli al sicuro.
A parlare è Igor che proprio su questa panchina, nel parco Sempione di Milano, ci ha dato appuntamento. Arriva in giacca e cravatta, alla fine di una giornata di lavoro. A 58 anni, portati splendidamente, è tornato a fare l’informatico per una grande azienda che lo ha appena assunto con un contratto a tempo indeterminato. Sembra una favola, ma è una storia vera.
I volontari della nostra Unità di strada lo portano in palmo di mano: “Curato, gentile, sempre positivo. In tanti anni non abbiamo conosciuto nessuno così pieno di risorse come lui”.
Parlare con i volontari mi ha aiutato moltissimo a non perdere di vista chi ero e, soprattutto, chi potevo tornare ad essere, perché lasciarsi andare è un attimo quando il tuo orizzonte è schiacciato sotto l’urgenza dei bisogni vitali.
La strada è stato l’ultimo passaggio di una parabola iniziata con la perdita del lavoro nell’azienda che aveva contribuito a far crescere. Stress, tracollo economico, vergogna per essere caduto così in basso: una storia simile a tante altre, ma è come Igor l’ha affrontata che ha dello straordinario.
In sette mesi ha mandato 115 curriculum. Quando non cercava lavoro, qualsiasi tipo di lavoro, studiava informatica in biblioteca, faceva il lavapiatti, scaricava cassette di frutta e verdura, e persino dava una mano a chi, in strada, stava peggio di lui. Anni di esperienza come preparatore atletico gli hanno dato una marcia in più: “ai ragazzi che allenavo ripetevo sempre: si può vincere e si può perdere, l’importante è dare tutto se stessi”. Così ha fatto Igor, e alla fine ha vinto lui. Tra i volontari che è passato a salutare, l’entusiasmo è palpabile: “sapevamo che ce l’avrebbe fatta”.
L’altra notte, sentendo la pioggia battere sui vetri della mia stanza, non ho potuto fare a meno di pensare a quando sotto l’acqua c’ero io e a quelle persone che sono là fuori.
Igor non ha smesso di aiutarle. A un ragazzo ha riparato il pc, ad altri porta vestiti oppure offre la colazione al bar, ma è il fatto di esserci passato che dà speranza a tutti. “Vorrei fare di più”, dice chiedendo se può diventare un volontario.
Le nostre mani si stringono e ci salutiamo con un arrivederci sincero. Igor, ti aspettiamo.