Catia, l’Unità di strada e l'appuntamento atteso del mercoledì

Quando racconta delle persone a cui la sera porta una coperta e un pasto caldo, è come se parlasse di amici che va a trovare per un saluto. Nelle parole di Catia, volontaria meravigliosa, il senso profondo di cosa significa aiutare gli altri.

 

“La prima notte fu scioccante, non immaginavo potesse essere così dura stare a contatto diretto con persone che vivono ai margini. Tornai a casa alle 2, distrutta eppure completamente innamorata della possibilità di fare qualcosa di molto concreto per loro”.
Catia conserva un ricordo vivido della sua prima esperienza con l’Unità di strada di Progetto Arca: già volontaria di alcune associazioni milanesi, conosce la Fondazione grazie ad uno spot in TV e inizia poco prima dello scoppio della pandemia.

L’emergenza non la frena anzi, nei mesi del lockdown, raddoppia il suo impegno e all’Unità di strada aggiunge il volontariato nella mensa del Centro di accoglienza di via Aldini a Milano.

Amo dire che per me è un lavoro perché devi essere puntuale, le persone sono lì che aspettano e finché non ci vedono non vanno via: siamo un punto di riferimento ed è una responsabilità che va onorata con coscienza, non si può sparire dall’oggi al domani.

Catia alla guida del furgone dell'Unità di strada

 

Catia esce in Unità di strada da ormai due anni e quando parla delle persone che avvicina è come se parlasse di amici che va a trovare per un saluto:

li conosco uno a uno e per quanto veniamo da esperienze diverse, il mercoledì sera siamo uguali, mi siedo lì con loro a chiacchierare ed è un momento di scambio che va oltre la consegna del cibo o della coperta: quando siamo lì, siamo semplicemente due esseri umani che si incontrano.

La serata di Catia inizia alle 19 al magazzino di Progetto Arca dove con gli altri volontari prepara il furgone e smista gli articoli da consegnare alle persone, una quarantina, che mediamente raggiungono il mercoledì. Ad ogni uscita, raccoglie e cerca di esaudire le piccole richieste di ognuno, come quando ha portato ad Attila, ungherese, le foglie di alloro per prepararsi i piatti tipici della sua terra oppure i sacchetti mono dose di trofie o ditalini che confeziona per Osama, a cui piace cucinarsi la pasta con il fornellino da campeggio.

Un momento che Catia ama molto è quando nuovi volontari entrano nel gruppo: prima di iniziare il giro, dà qualche anticipazione su chi incontreranno quella notte ma senza scendere troppo nei dettagli perché vuole che, una volta arrivati in strada, sia naturale la voglia di conoscersi e raccontarsi.
“Alla fine della serata rivedo nei loro occhi quello che ho provato io la prima volta: stanchezza mista alla soddisfazione di aver fatto qualcosa di utile e importante. Ad aiutare gli altri si aiuta sempre anche sé stessi”.

 

 

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